So you wanna be Hardcore?? (2008)
tratto da MoodMagazine n.3 (2008)
L’avrei dovuta chiamare “l’angolo della pippa mentale sul rap” questa rubrica. Pazienza. Ho 33 anni e fatico a interagire col mio mondo, che poi è quella cosa chiamata hip hop. A 18 anni avevo le idee più chiare di ora e questo mi spaventa. Il “bianco o nero” è molto piu’ comodo di un mondo che ti accolla un intera gamma cromatica di possibilità e alternative. O peggio, di dubbi. Prima era più facile, lo ammetto: bastava scegliere fra hardcore e commerciale. Roba da b-boy col cappuccio calato in testa che sta in un angolo a mantenere la posa da duro o roba per fighetti leccati col drink in mano che se la scialano nel privè. Uno scontro abbastanza duro fra mentalità e attitudini diverse, questione di consenso o di rifiuto, cose per cui a 18 anni puoi anche uccidere. Non mi veniva in mente in quel periodo che anche una parola bella ed evocativa come “hardcore” potesse rivelarsi un arma a doppio taglio, l’ennesima gabbia in cui rimanere intrappolati. Che poi che significa esattamente “hardcore”? Essere veri? Essere duri? Non accettare nessun compromesso e giocare a fare gli integralisti di turno? O forse…“hardcore è aiutare una vecchia ad attraversare la strada” (Metal Carter), piccola perla di verità. Non lo so, so che anni fa ci litigai con J Ax e con tutta la Spaghetti Funk per questa cosa. Avevo ascoltato un’intervista alla radio in cui Ax sosteneva che hardcore era sinonimo di “vero” e dal momento che lui in Tranqui Funky era vero e rimaneva se stesso, allora anche Tranqui Funky era una canzone hardcore. La mia idea invece è sempre stata quella che “hardcore” non singifica “real” ma letteralmente “nocciolo duro” e non c’entra tanto con l’essere reali quanto con l’essere in qualche maniera “duri”. Musicalmente o concettualmente. La mia risposta ad Ax avvenne su un palco, e fu un grosso vaffanculo a lui e a tutta la sua banda, che si tenessero i milioni che stavano facendo, i palazzetti pieni ai loro concerti e le groupies da scopare, ma non si dovevano azzardare a toccare quello che era “nostro”, l’hardcore. E quindi via coi vaffanculo e con le rime di sfida. Impertinente il ragazzino romano eh? Beh, quel vaffanculo mi costò un pesante scazzo con loro durato parecchio tempo, fino al momento in cui io e Ax non ci siamo rincontrati per caso in un locale a Roma e ci siamo scambiati due chiacchiere della serie “beh, quel che è stato è stato, andiamo avanti..”. Ora se mi guardo indietro capisco di aver riposto troppa fiducia in dogmi che si sono poi rivelati inutili, cosa che mi ha portato a dubitare praticamente di tutto. Ho ascoltato molti gruppi che obiettivamente non potevano NON definirsi hardcore (i classici che sul palco strillano come maiali scannati…) e mi sono accorto che parecchi di questi mi facevano veramente cagare. Poi ho ascoltato qualche canzoncina da radio, di quelle che durano una stagione e via, e mi sono accorto che qualcosa si poteva addirittura salvare. Quando Neffa ha fatto “Aspettando il Sole” molta gente gli diede addosso dicendo che si era venduto, che era diventato commerciale. E si parla di “aspettando il sole” aka uno dei tre pezzi più belli mai esistiti nel rap italiano. Ora la domanda potrebbe essere: aspettando il sole è hardcore o commerciale? Ma non è la domanda che mi interessa. Mi interessa sapere invece se è o no una bella canzone. E’ o non è buona musica? Ecco la chiave di tutto, le due parole magiche che quando sono messe una accanto all’altra mi fanno stare bene: Buona Musica. So che spesso non paga, che in un mondo dominato da marketing, advertising e strategie promozionali dei miei coglioni a parlare di musica ci fai quasi la figura del fesso, ma io davvero ne sono convinto. La musica è il fulcro, il resto è contorno. Gangsta, street, new school, old school…sono solo etichette, pura segnaletica stradale per ascoltatori mediocri che hanno bisogno di qualche bandiera dietro la quale nascondersi. O roba che serve ai giornalisti per portarsi a casa lo stipendio. A questo punto me la sento proprio nelle orecchie, quella vocetta che mi dice “ma tu non sei quello che ancora oggi sale e canta flippo solo hardcore?”. Eh già, sono proprio io e ne vado pure fiero di quel pezzo. Intendiamoci: mi sento ancora hardcore in nome di determinate scelte che ho fatto e in relazione a un certo tipo di rap che mi piace fare e ascoltare. Ma l’essere hardcore la vedo come una cosa sempre meno importante. Nel 95 ai concerti rap sotto il palco la gente pogava e si tuffava in stage diving. Ora stanno tutti col braccio teso a puntarti il telefonino in faccia per fare foto e filmati e sembra che gli interessi solo questo. Mi chiedo se si divertono, se se lo godono il concerto o se alla fine è importante solo avere qualcosa da far vedere agli amici il giorno dopo o da mettere sul proprio myspace. Hardcore? ecco, hardcore sarebbe mandarli tutti affanculo, uno a uno. Voi col telefonino ai concerti che neanche ascoltate, andate affanculo. Questo sarebbe un gesto molto piu’ hardcore che mandare affanculo gli sbirri di fronte a un pubblico che non vede l’ora di mandare affanculo gli sbirri. Mi dicono sempre “ah voi siete i meglio, voi che non vi siete mai venduti” e io sono contento, ma sotto sotto mi fa piu’ piacere quando mi dicono “sei veramente bravo a fare il rap” o “mi piace la vostra musica”. Perché è quello che io sto cercando di fare: buona musica. E non è facile per un cazzo ma credimi, come dice Samuel L Jackson nella scena finale di Pulp Fiction: “ci sto provando, ci sto provando con grande fatica…”.