Destroy & Rebuild (parte 1) Roma 26.09.11 : Tutti sanno e tutti fanno; negli ultimi anni la diffusione dell’hip hop in Italia ha portato a un aumento degli addetti ai lavori; il risultato e’ una moltitudine di new-jacks esperti nel marketing del proprio prodotto che spingono se stessi in maniera eccellente su ogni canale, troppo spesso senza avere qualcosa di realmente valido da proporre ( ” perche’ io valgo”). Nello stesso tempo tutti fan e tutti artisti. La qualita’ cede il posto alla quantita’ e senza aver fatto gavetta tutti si presentano al pubblico con mentalita’ e modalita’ mainstream. In questo clima ci si mette poco a corrompersi e il senso delle cose si perde mettendo in risalto solo gli aspetti materiali delle persone. Il declino, dunque, della cultura fatta di contenuti e di protesta in favore di sterili manie da rockstar pieni di vizi e con pochissimi pregi. Il credo della maggior parte dei rapper italiani oggi paradossalmente e’ lo stesso di Berlusconi : la figa e i soldi, fare soldi a tutti i costi, l’ unica cosa da esibire come simbolo di potere; si parla di quello nei testi e si vive per quello. Eravamo in pochi a Roma nei primi anni 90 quando tutto e’ cominciato, pace e amore e poche striminsite informazioni che arrivavano da fuori, era tutto un passa parola e il knowledge si formava con l’esperienza giorno dopo giorno; si stava per strada per davvero, notte e giorno, ci si costruiva il nome ed ogni secondo si cercava di dare un senso a quello che eravamo. Anche se non c’era internet a collegarci tutti, eravamo comunque un’ unica cosa e i rapporti erano veri e duraturi. Ci muovevamo nelle ombre dei vicoli di Roma scrivendo e creando, marcando e leggendo e la nostra citta’ era casa nostra…senza saperlo eravamo internet, lo avevamo gia’! I pop up dei tags sulle strade ci indicavano il cammino e personalizzavano l’arredo urbano; mettere un tag accanto ad un altro era come dire “mi piace” ,”ti rispetto”. Tutto quello che c’era da sapere si sapeva in breve tempo, anche se neanche il cellulare era ancora diffuso, si viveva di piu’, con meno pantomima, piu’ intensamente. Non bastava una pagina di facebook o un video su youtube per avere notorieta’, la fama era ” fame” e lo stile si creava con i fatti, potevi essere “qualcuno” per la tua cerchia di amici ma anche diventare leggenda in tutta Roma o anche oltre, ma per davvero. Ti guadagnavi qualcosa solo quando te l’eri guadagnata, e fino a quel momento eri nessuno. Per strada te dovevi sveja’ oppure erano mazzate; il writing non aveva la diffusione che ha oggi, e per la maggior parte delle persone eri un incognita, spesso un nemico. Tutto era illegale e il concetto di muro-legale ancora non esisteva, era una felicita’ da strappare. Non capivano perche’ lo facevamo, ed eravamo pochi, odiati da tutti e rispettati da pochissimi. Da una parte c’eravamo noi, dall’altra tutti gli altri. Avevamo contro negozianti, privati, polizia, fascisti e anche i comunisti che coprivano le nostre scritte e dicevano che non c’era messaggio nel nostro modo di essere, senza capire che il messaggio era proprio nel farle quelle scritte, affermare il proprio IO nella metropoli senza bandiere, era un grido di vita, di libertà! Non si faceva il “bar dello sport” che si fa oggi nei social-network con tutti allenatori e critici, quello che eri era sotto gli occhi di tutti, ne’ piu’ ne’ meno. Imparavamo da quelli piu’ bravi sentendo e risentendo la musica, che non erano files archiviati nel pc ma dischi con copertine meravigliose, avevano un odore e un suono e quei pochi che potevamo comprare a forza di sentirli li imparavamo a memoria (spesso, come nel mio caso, senza neanche capire le parole). Le fanzine di graffiti che ci arrivavano erano pochissime a volte fotocopiate in bianco e nero ma bastavano una o due foto a mandarti in fissa per quello stile e potevi andare avanti a disegnare lettere per mesi! Si passava a trovare qualcuno e ci si metteva a registrare su cassetta i dischi che aveva con piastre sgangherate, creando quelli che qualche anno dopo sarebbero diventati i “mixtapes”. Oggi negli hard-disk dei pischelli ci stanno giga e giga di rap ma sono acquisiti troppo in fretta e non c’e’ il tempo di ascoltarli con calma che ne arrivano di nuovi a pioggia; il bombardamento di imput e informazioni ci rende sordi e superficiali. Quel poco che avevamo, non era un anonimo file con un icona sul desktop ma un disco con immagini e testi da sentire e risentire e tenere tra le mani, era la nostra copia ! Inoltre rappresentava una scelta, avevamo speso i soldi per quello, e non per altro; eravamo fieri di questo!